Pubblicato in: Libri e recensioni

Ecce homo: “Confessioni” di un filosofo.

212px-Eh_Titel.JPGQualche giorno addietro il mio sguardo si è fermato su un libricino, piccolo ma dai grandi e complessi contenuti. Il solo prezzo, inscritto nel retro di copertina(1,90 Euro), induce a pensare che, quasi quasi, non possa valer nulla, data l’abitudine dei nostri tempi impregnati dell’imperativo categorico al consumo, a misurare ogni oggetto (o anche ogni persona), col valore che essa ha in denaro. Ironicamente, il titolo di copertina recita:”Ecce homo, come si diventa ciò che si è”.

Eppure l’autore del libricino( pubblicato nel 1888) è uno di quelli che hanno lasciato il segno nella storia filosofica del ‘900, Nietzsche W. Friedrich, filosofo e filologo polacco le cui idee hanno da sempre creato e generato grandi contraddizioni nella vasta platea dei suoi lettori. Lontani ricordi degli studi liceali classici si affacciano nella mente, ma la comprensione  di testi come questi non era matura, per quella giovane età.

Quel che più mi ha interessato oggi nel testo suddetto, è il rapporto personale descritto dall’autore con la malattia, che colpì Nietzsche in maniera graduale fino a condurlo alla follia. Nel 1888 scrivendo ad Overbeck egli si riferiva a “…una recrudescenza delle mie sofferenze passate; che cela un profondo esaurimento nervoso a causa del quale tutta la macchina non funziona;( si rinviene qui la concezione di uomo-macchina, l’organismo alla stregua di una meccanica e fisica composizione del corpo e della mente)La forza vitale non è più intatta…”(p.11). L’opera è una risposta ai lettori dell’epoca, ma anche ai postumi, alla domanda esistenziale dell’autore su chi egli veramente fosse,una rivelazione completa della sua identità, per far ciò  riprende in “Ecce Homo” i suoi scritti precedenti e lì commenta accuratamente a posteriori. Non per questo bisogna considerare questo testo lo scritto di una “mente malata”, anzi, un lampo sferzante di vita e di ampia lucidità intellettuale, prima della caduta definitiva nella patologia psichica. Ma questo avvenne dopo.

Quando tra le righe di Ecce Homo, Nietzsche riprende a commentare il suo “Umano troppo Umano” (pubblicato nel 1878),si cimenta, ancora una volta, nello spiegare che il suo è un appello agli uomini liberi, un’accorato inno contro l’idealismo: “dove voi vedete cose ideali, io vedo-cose umane,ahi troppo umane!” ricorda tra le righe del testo.

 Le “due continuazioni”(p.89) con cui si ricollega al sopracitato libro(Umano,troppo umano), comprendono anche la descrizione postuma dell’esperienza personale di malattia, il suo vissuto in relazione ad essa, la sua unica e irripetibile interpretazione: “la malattia mi sciolse lentamente da tutto; mi risparmiò ogni rottura, ogni passo violento e rivoltante ( appare dunque come un sorta di liberazione dell’anima). “Non ho perduto la benevolenza di nessuno e ne ho acquistata molta ancora. L malattia mi diede nel contempo il diritto a un completo rovesciamento di tutte le mie abitudini; mi permise, mi ordinò di dimenticare: mi donò la necessità del riposo, dell’ozio, dell’attesa e della pazienza…Ma questo è appunto pensare! I miei occhi misero fine da soli ad ogni frenetico nutrirsi di libri, cioè alla filologia: ero libero dal “libro” per anni non lessi più nulla- il maggior beneficio ch’io mi sia mai concesso!- Quel profondo me stesso, quasi sepolto,quasi ridotto al silenzio sotto un obbligo costante di ascoltare altri sè(-e questo è appunto leggere!) si risvegliò lentamente, timidamente,dubbiosamente,-ma alla fine parlò di nuovo. Mai ho provato tanta felicità di me come nei tempi più pieni di dolore e di malattia della mia vita;basta prendere in esame “Aurora” o “Il viandante e la sua ombra” per capire cosa fu questo “ritorno a me stesso”: una forma suprema di guarigione!…L’altra ne fu semplicemente una conseguenza..”(p.92). Una descrizione accurata, minuziosa e intimamente dettagliata, quella dell’autore polacco che conduce il lettore nella metamorfosi che la sua identità attraversa con il passaggio alla malattia: non una condanna, una colpa divina, bensì quasi alla stregua di un dono, di una liberazione del suo vero essere; una sorta di guarigione dal falso sé dei tempi precedenti. Ancor più pregnante è il suo distacco dal concetto di malattia, quest’ultima è percepita come un corpo estraneo che è divenuto gradualmente parte di lui.  Egli non acquisisce mai lo status di malato, non si identifica mai con la malattia, anzi è consapevole dei sui nefasti effetti anche nelle sue manifestazioni peggiori, in cui  ritrova però un nuovo spirito e una nuova forte identità , in nessuna delle sue pagine egli si autodefinisce “un malato”.

Uno dei grandi temi di Nietzsche è la decostruzione accurata dell’ideale, degli idoli e delle menzogne che rendono l’uomo schiavo di false realtà. Tra queste si ritrova una feroce critica al cristianesimo, sull’operato dei preti il filosofo polacco asserisce  (intendendo per tali anche alcuni filosofi, definiti preti mascherati) “… Che senso hanno quei concetti menzogneri, quei concetti ausiliari della morale, “anima” “spirito” “libero arbitrio””Dio” se non quello di rovinare fisiologicamente l’umanità?…Quando si storna la serietà dell’autoconservazione, dell’incremento delle forze del corpo, vale a dire della vita, quando della clorosi si fa un ideale, del disprezzo del corpo “la salute dell’anima”, cos’è d’altro questo, se non una prescrizione per la dècadence? La perdita di peso, la resistenza agli istinti naturali, in una parola l’altruismo-ciò è stato chiamato morale fino ad ora…Con “Aurora” ho intrapreso per la prima volta la lotta contro la morale dell’annullamento di sè”(p.96).  Ancora sullo stesso tema egli argomenta che “..La morale della rinuncia è par excellence la morale della degenerazione, e la constatazione “io sono perduto” tradotta nell’imperativo “dovete perdervi tutti” e non solo nell’imperativo!… Quest’unica morale è stata insegnata sinora, la morale della rinuncia a sè, tradisce una volonta di morte, nega la vita nel suo principio fondamentale-“(p.125). Le sue riflessioni, acute e accurate, fanno della morale comune un ideale ingannevole, se da un lato è in particolare affrontato il senso religioso del cristianesimo, ciò serve a dimostrare lo scopo della sua filosofia di fondo, l’obiettivo ultimo del filosofo con il testo “Ecce Homo” è la trasvalutazione di tutti i valori, un rovesciamento delle norme, delle convinzioni, dei precetti e delle consuetudini, cui l’umanità ha, nel corso dei secoli, dato credito. Un compito ambizioso, in cui è l’uomo stesso artefice del suo destino, quest’ultimo non è segnato da alcuna predestinazione, alla luce di ciò, è più facile comprendere il titolo dell’ultimo capitolo:“Perchè sono un destino”(p.125) in cui appunto confuta e argomenta le sue ipotesi.

Il concetto di salute nell’autore polacco è pedissequamente analizzato secondo lo spirito del tempo: egli afferma che la vera natura dell’uomo, quel che lui definisce Dionisiaca, è contraffatta e violentata dallo stesso concetto di un profetico “al di là”, il quale ha il potere di distogliere l’intelletto dell’uomo dal mondo reale e vero. In seguito Nietzsche attacca quell’invenzione tutta cristiana dell’anima immortale, la quale induce al disprezzo del corpo terreno in profonda antitesi con le reali esigenze umane della vita quotidiana.

La visione della salute in un’accezione cristiana, secondo il filosofo,  diventa più affine al concetto di morte che di vita: il corpo malato, egli lo definisce “santo”(p.126), mortifica l’istinto di vita e di autoconservazione,è quanto di più ostile alla vita possa esserci in realtà.

Nel trascurare le necessità materiali dell’esistenza ponendo in primo piano prima la salvezza divina, Nietzsche definisce l’uomo cristiano alle prese con una “folie circulaire”(p.126) in cui l’esistenza umana si alterna tra penitenze e redenzioni, rinnegando sè stesso nell’idea del “peccato“(p.126).

In questa ottica, egli afferma che, date le precedenti premesse, nel concetto di uomo buono si rinviene tutto” ciò che è debole, malato, malriuscito e sofferente…questo è l’ideale proposto, invece dell’uomo fiero e compiuto, che dice di sì’, che è conscio del futuro,-che garantisce il futuro,-d’ora in avanti questi è chiamato il cattivo…E tutto ciò è stato ritenuto morale!…“(p.126).

Il testo completo affronta altri suoi cavalli di battaglia, precisamente descritti alla luce della sua volontà di presentarsi al lettore in tutta la sua piena identità di filosofo e studioso. Quando egli riprende “La nascita della tragedia“(1872) ad essere criticati sono filosofi come Platone, Schopenaeur, e, ancora una volta, il filone del cristianesimo,i quali racchiudono in loro un concetto comune: l’idealismo.  “La conoscenza, il dire di sì alla realtà, è per il forte una necessità pari a quella che è per il debole…la vigliaccheria e la fuga davanti alla realtà-l’ideale”(p.82). Le parole per esprimere il rapporto di Nietzsche con il mondo degli ideali si esplicitano semplicemente in queste tre righe.

1280px-Eh-dm-27.JPG

Immagine libera da Copyright, fonte Wikipedia

La lettura di questo autore, così come di questo libro, è impegnativa senz’altro, ma gli spunti che se ne possono trarre sono oltremodo interessanti e direi quanto mai attuali; col senno di poi si può immaginare e solo dedurre che il suo stato di malattia abbia condizionato le personali riflessioni sull’esistenza umana, non nel senso che lo abbia deviato, non è questo,di certo, lo scritto di un pazzo! (semmai potremmo esser certi di saper definire cosa sia la pazzia..)

La profondità del suo pensiero è forse stata acuita dal mutare delle sue condizioni fisiche e psichiche, come egli stesso afferma nella prima parte del testo, è invece possibile leggere  tra le righe di “Ecce Homo”, non certo il pessimismo o la rassegnazione; al contrario il sentimento appassionato che guida le sue parole è la volontà di poter andare controcorrente, e di proporre una visione del mondo alternativa, libera da pregiudizi e steccati morali.

Libro: Ecce Homo di Friedrich Nietzsche, Edizione integrale Introduzione di Aldo Venturelli, Traduzione di Silvia Bortoli Cappelletto, New Compton Editori,Roma,2014

Immagine iniziale:Karl-Heinz Hahn / Mazzino Montinari: Friedrich Nietzsche: Ecce Homo, Faksimileausgabe, Lipsia / Wiesbaden 1985 ( fonte libera da copyright wikipedia)
Pubblicato in: Scienza, Medicina e dintorni

Un matrimonio felice… allunga la vita

La conferma di uno studio dell’Università di Pittsburgh: chi porta avanti relazioni sentimentali tormentate, è più soggetto a malattie cardiovascolari.

Da sempre, nel corso dei secoli, le relazioni sentimentali tra uomo e donna sono state fonte di ispirazione primaria per la letteratura.

Decantate dai poeti, descritte dagli scrittori, immaginate e disegnate dagli artisti, l’immaginario collettivo si è lasciato guidare da racconti e immagini a volte utopici,a volte realistici sulla vita amorosa di lui e di lei.

Il cinema e recentemente la televisione hanno ampiamente utilizzato il pathos e la drammatizzazione per far rivivere nei suoi spettatori gli animi dei protagonisti di storie amorose, pacati o tormentati che siano.

Di recente, anche Thomas Kamarck, professore di psicologia biologica nell’Università di Pittsburgh, di recente si è lasciato ispirare nelle sue ricerche, proprio dagli effetti che una relazione amorosa, in particolare quella tra uomo e donna uniti in matrimonio, può provocare a livello di malattie cardiovascolari.

Sulla rivista Psychosomatic medicine, nell’articolo a firma di Nataria Joseph, allieva di Kamarck, è stato illustrato lo studio condotto su 281 pazienti in cura, il cui status era una relazione coniugale o una relazione con un partner.

I pazienti sono stati monitorati per quattro giorni e coloro che hanno riportato relazioni negative e infelici con l’opposto sesso di appartenenza hanno registrato una percentuale di rischio di soffrire di attacco di cuore dell’8,5% rispetto ai fortunati, quelli con interazioni felici.

Relazioni matrimoniali infelici e malattia cardiovascolare: la connessione è stata trovata nella qualità della vita insieme; lo sviluppo di placche nell’arteria carotidea è stato indagato simultaneamente.

Emozioni e sensazioni hanno giocato dunque un ruolo fondamentale nello sviluppo di patologie cardiovascolari, mentre i processi sociali biologici e psicologici hanno influenzato lo stato di salute globale e lo stile di vita.

I limiti della ricerca sono stati evidenziati dallo stesso team di studiosi di Pittsburgh: queste reazioni dell’organismo posso essere state indipendenti dalle relazioni sentimentali.

La ricerca è stata una sezione trasversale in cui i fattori presi in considerazione sono stati l’età il sesso la razza e il livello di educazione.

Pubblicato in: Comunicazione e Società

L’universalità del diritto alla salute

Le problematiche del lavoro e della previdenza per gli immigrati in un seminario di formazione a cura dell’INMP

Nelle giornate dall’1 al 22 Giugno presso l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (INMP) si è svolto un corso di formazione di 4 incontri dal titolo Diritti giurisprudenza e casi pratici in materia di immigrazione promosso dall’Associazione nazionale Avvocato di strada, una ONLUS il cui Presidente è l’avvocato Antonio Mumolo.

L’associazione di volontariato si occupa di tutelare i diritti delle persone senza fissa dimora e le vittime della tratta, sedi e sportelli sono presenti nell’intero territorio nazionale, precisamente nelle città di Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Ferrara, Foggia, Jesi, Macerata, Milano, Modena, Napoli, Padova, Pescara, Piacenza, Reggio Emilia, Roma, Rovigo, Salerno, Taranto, Trieste e Vicenza.

Il secondo incontro, dal titolo Immigrazione e diritto al lavoro, moderato dall’avvocato Teresa Santulli, coordinatrice dello Sportello avvocato di strada di Roma, ha introdotto le problematiche connesse al riconoscimento giudiziale dei diritti dei lavoratori stranieri che non godono di una contrattazione regolare nel rapporto di lavoro.

Molto spesso, nella realtà della vita quotidiana, gli avvocati dell’associazione si trovano a dover affrontare situazioni gravose dal punto di vista giudiziario e sociale: la legge viene disattesa e le problematiche legali si intrecciano con aspetti sociali e culturali che esigono un’attenta e delicata lettura, per poter venire incontro a situazioni in cui la richiesta di aiuto non sempre è facilmente decodificabile per gli operatori degli sportelli legali.

Alcuni casi pratici in materia di diritti e immigrazione sono quelli raccontati dall’avvocato Alessandro Lodato, che nel suo intervento, si è occupato dell’iniquità di trattamento dei cittadini extracomunitari in materia di invalidità civile e indennità di accompagnamento.

In breve per ottenere trattamenti economici in Italia, che sono erogati dall’INPS (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale) gli stranieri extracomunitari fino al 2008 dovevano essere titolari di una carta di soggiorno sostituita in seguito dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Coloro ai quali era stata accertata l’invalidità civile e il diritto all’indennità di accompagnamento, hanno difficoltà ad accedere ai trattamenti economici poiché l’INPS afferma che i diritti soggettivi in materia di servizi sociali e dunque l’assegno sociale vengono concessi agli stranieri titolari di carta di soggiorno e alle condizioni previste dalla legislazione stessa, compresa la titolarità di un reddito.

Secondo l’avvocato, varie volte si è pronunciata la Corte Costituzionale a partire dal 2008, affermando che la norma su cui si basa l’INPS è illegittima nel momento in cui esclude l’indennità di accompagnamento per gli extracomunitari, poiché sprovvisti di carta di soggiorno CE e dei requisiti di reddito, sempre tenendo conto del principio di ragionevolezza che deve orientare il legislatore.

La Corte afferma che è discriminatoria la pretesa legislativa che impone allo straniero un requisito che non è previsto per i cittadini italiani, tenendo in considerazione l’universalità del diritto alla salute e intendendo per tale anche i diritti ai rimedi possibili: non si possono negare i diritti fondamentali della persona.

Gli stranieri titolari di carta di soggiorno o permesso di soggiorno sono equiparabili ai cittadini italiani nella fruizione delle provvidenze e delle prestazioni di assistenza sociale già dal 1998.

Nonostante ciò l’INPS continua a chiedere il permesso di soggiorno CE per le prestazioni in materia d’invalidità civile agli stranieri extracomunitari.

La casistica in giurisprudenza è molto ampia: Il Tribunale ordinario di Perugia ha rifiutato la domanda del l’indennità di frequenza ad uno straniero extracomunitario per il figlio minore (istituita con legge 289/1990), volta ad assicurare la cura la riabilitazione e l’istruzione per i minori invalidi civili come recitano gli articoli della costituzione 30,31,34,38 sulla Tutela dell’Infanzia.

La domanda è stata respinta poiché il Tribunale ritiene sia indispensabile per essere titolari di tale diritto il requisito del soggiorno in Italia da almeno 5 anni, al di là di del semplice possesso della carta di lungo soggiorno CE e dei requisiti di reddito.

Nella Capitale si presenta un altro scenario: il Tribunale di Roma nel 2010 riconosce l’indennità di accompagnamento e la pensione d’invalidità a moglie e figli di un cittadino extracomunitario soggiornante nel territorio italiano dal 1990; la Curia riconosce la prestazione per l’invalidità a partire dal mese successivo alla domanda di diritto alla prestazione, avvenuta prima della concessione della carta di soggiorno.

Dunque la burocrazia e la discrezionalità di interpretazioni dei vari Tribunali in materia di diritti e invalidità civile, a volte possono rivelarsi un ostacolo per i cittadini stranieri che versano in situazioni di infermità, fermo restando che questa grave situazione di salute debba essere reale e accertata dagli organi competenti.