Un convegno organizzato dall’Associazione Disprassia e Famiglie, AD&F, sulla proposta di legge (DdL 904) per il riconoscimento della disprassia quale disabilità ai fini dell’inclusione scolastica e lavorativa, è l’evento svoltosi il 17 Aprile di quest’anno a Roma, nella cornice della sala dell’Istituto di S. Maria in Aquiro, del Senato. Il DdL 904 è “trasversale” ovvero nato all’unanimità tra i vari componenti di diversi rappresentanti politici.
Il convegno ha affrontato sotto molteplici aspetti la disprassia, detta anche Developmental coordination disorder (DCD) , attraverso gli interventi di vari relatori.
Il senatore Nencini (Partito socialista italiano) afferma come le associazioni abbiano contribuito al sostegno del disegno di legge, al di fuori delle aule parlamentari. Il punto focale è il riconoscimento di un diritto, a fronte dell’handicap nascosto costituito dalla disprassia. Dalla scuola al mondo del lavoro, una rete condivisa con la famiglia per costruire una condizione ambientale favorevole ai soggetti disprassici.
La senatrice Binetti (Forza Italia-BP) neuropsichiatra infantile, nel suo intervento, sottolinea come la sottoscrizione del disegno di legge sia stata naturale e quanto sia importante il settore medico nella disprassia. La diagnosi precoce può essere fondamentale nella qualità della vita dei ragazzi, sostiene con certezza la dottoressa.
La critica posta dal medico e senatore è al modello didattico attuale rispetto alle diversità neurofisiologiche proprie del disturbo; i luoghi comuni sono diffusi tra bambini insegnanti e genitori. Le modalità relazionali sono altrettanto importanti oltre che il “modello classe” nella scuola. Nel disegno di legge essenziale è il riconoscimento del diritto, per andare oltre le etichette dettate dagli stereotipi. La competenza nell’intervento poi appare fondamentale a livello medico ed etico.
La senatrice sottolinea la necessità di ripensare l’insegnamento: ogni bambino ha bisogno di un suo metodo che risponda alla diversità dei bisogni. Una battaglia culturale dettata dalla necessità di pensare la scuola come un laboratorio di occasioni, spazi e opportunità. La relatrice promuove inoltre la ricchezza che c’è nella diversità, che esige rispetto, come accade anche nel caso dell’autismo. Non manca l’ironia finale: se provassimo a copiare l’arabo ci scopriremmo tutti disprassici, afferma la senatrice Binetti.
Mina Welby, Presidente dell’associazione Luca Coscioni è fermamente convinta di questa legge, ispirata alla Convenzione Onu sui diritti umani. Ognuno ha diverse abilità e in quanto tali vanno rispettate. Strumenti compensativi e misure educative risultano importanti, gli insegnanti e i medici debbono avere competenze adeguate per accompagnare i disprassici nella vita. Una rete tra vari settori potrebbe essere utile a costruire sostegni anche utilizzando la L.68 del 99, relativa all’integrazione lavorativa.
La docente di Diritto internazionale presso l’Università degli studi di Torino, Ludovica Poli, in rappresentanza dell’Associazione Disprassia e famiglie, afferma quanto sia una costruzione sociale il concetto di disabilità, e quanto l’inclusione e l’accettazione nella società siano ancora oggi da implementare. La docente descrive il progetto Ibis in collaborazione con la Fondazione Cariplo e l’Università di Milano Bicocca che è sperimentato nelle scuole secondarie superiori, utilizzando metodologie multimediali per ausilio alle neurodiversità.
La sua esperienza di genitore di un bimbo disprassico è descritta nelle difficoltà di equilibrio tra protezione ed autonomia, sempre riconoscendo e accettando la diversità dei bambini e degli adulti di domani quale fattore a tempo indeterminato; la vulnerabilità oltre a mostrare i suoi limiti, porta anche alla generazione di reti sociali indispensabili per il progresso civile e della società.
In una prospettiva sociale la disabilità è descritta come il limite della società nell’accettazione delle diversità nel momento in cui la comunità esclude invece di includere.
Durante il convegno interviene la neuropsichiatra Michela Marzorati dell’Ospedale Niguarda di Milano, la disprassia è raccontata iniziando dalla storia di un bambino di 9 anni, Matteo, con le varie difficoltà incontrate nel disturbo e la necessità di comprendere tale disordine per i genitori.
Il medico afferma che già dal 1994 è presente nel DSM IV la dicitura disprassia, e nel tempo sono mutate le sue definizioni. In Italia la diagnosi usata è disturbo della coordinazione motoria; nel 2019 le linee guida europee suggeriscono proprio tale dicitura. La frequenza del DCD è tra il 5 % e il 6% dei bambini, in prevalenza di sesso maschile. Il disturbo perdura per tutta la vita; gli interventi, anche nei casi lievi, risultano importanti per evitare ripercussioni in altre aree della vita. La capacità di prendere appunti è un ostacolo forte per i disprassici, si evidenzia inoltre nel disturbo un deficit nelle capacità organizzative e nelle relazioni sociali.
Spesso in concomitanza si trovano deficit dell’attenzione, disturbi dello spettro autistico e disturbi specifici dell’apprendimento, continua la Dottoressa.
La diagnosi purtroppo è ancora spesso tardiva nonostante un’alta frequenza del disordine. La Marzorati cita inoltre due studi canadesi che rivelano come molti medici sottovalutino le conseguenze sociali della disprassia, addirittura molti pediatri sembrano non conoscano il disturbo della coordinazione motoria.
In tale quadro è necessario ricordare, afferma la neuropsichiatra ,come nel DSM V si sia, in un certo senso, introdotta la diagnosi di comorbilità, dove prevale la dimensionalità; dunque uno spettro di disturbi che sottende una disfunzione cerebrale in parte comune tra diversi disordini: una sovrapposizione di sintomi (co-occuring) ovvero disturbi distinti ma sovrapposti. Il DCD è dunque identificato singolarmente dagli altri disordini e meritevole di diagnosi precoce.
Interventi precoci integrati e mirati sono importanti in un’ottica di rete multidisciplinare, così come raccomandato dalle ultime linee guida europee in materia (2019). Lo sviluppo di servizi in tal senso permetterebbe di modificare la traiettoria evolutiva del paziente. Il medico cita uno studio sociale su pazienti disprassici i quali sono stati poco supportati a scuola e dove soltanto i casi più gravi hanno potuto beneficiare di sostegno, rimanendo dunque in un cono d’ombra. Molto spesso questi bambini trascorrono la maggior parte del tempo a casa e non con i coetanei, questo isolamento aumenta in adolescenza e si consolida nell’età adulta; la partecipazione sociale potrebbe migliorare eliminando le barriere ambientali che ostacolano i disprassici, suggerisce la neuropsichiatra.
Le difficoltà sono evidenti anche nella comunicazione tra pari; è evidente la mancanza di occasioni sociali e di partecipazione non certo dovute ad un deficit di empatia.
L’articolato e accurato intervento del medico Marzorati è completato dalle parole della neuropsichiatra Anna Maria Chilosi della Fondazione IRCS Stella Maris:
“il grande assente, nelle linee guida europee, è il disturbo dell’articolazione dei suoni e del linguaggio, la cosidetta disprassia verbale.”
A supporto dell’importanza del settore medico nel campo della disprassia un ulteriore parere scientifico si esplicita nel convegno sulla disprassia/DCD: la specialista in terapia fisica e riabilitazione, il medico Annalisa Risoli, descrive la sua esperienza professionale con il DCD/disprassia, spiegandone i sintomi, dalle dis-percezioni tattili a quelle gustative, dai problemi emozionali e relazionali a quelli cognitivi e delle funzioni esecutive, ovvero nella capacità di poter essere autonomi e indipendenti. Tante difficoltà in diversi ambiti, sia negli adulti che nei bambini. “Ad oggi la disprassia nell’adulto viene riconsiderata anche dalle ultime raccomandazioni europee, rispetto a quelle del 2012″ afferma la dottoressa.
Quali sono dunque le problematiche nell’adolescenza e nell’età adulta? La dottoressa Risoli afferma che proprio la mancanza di un riconoscimento precoce del DCD rappresenti un deficit importante. Per gli adulti è invalidante nel 70% dei casi e negli adolescenti si riscontra una marcata mancanza di partecipazione sociale. La diagnosi mancata o errata è un fattore molto comune purtroppo. Alcuni adolescenti sperimentano anche problemi di salute mentale e problemi nelle abilità scolastiche.
La citazione del medico riguarda gli studi della Dott.ssa Amanda Kirby,( autrice del libro “Dyspraxia: an hidden handicap, 1999) i quali si soffermano anche sugli adulti, seguendo l’ICF, analizzando dunque menomazioni, attività e partecipazione, fattori ambientali e personali che influiscono sulle problematiche.
La disprassia negli adulti si riconosce con difficoltà nel movimento (salire su una scala ad esempio) nel controllo posturale, deficit dell’immagine motoria, cioè hanno problemi a pensare l’immagine dell’azione che dovranno compiere. Ciò inficia la pianificazione, l’organizzazione del tempo e del linguaggio, ma anche il livello verbale. Altre difficoltà sono di tipo psicologico, quali a titolo esemplificativo, ansietà e depressione. Inoltre guidare, così come fare sport sono fonte di grande difficoltà per i disprassici.
Nella partecipazione ci sono difficoltà nello studio, nel lavoro e nella socialità; i fattori personali sono negativi, esprimibile sostanzialmente con un vissuto di incapacità e negli adulti corrispondente alla sensazione di “non farcela”; nei fattori ambientali fondamentale è il supporto dell’ambiente che dovrebbe durare tutta la vita. Manca una conoscenza del problema da parte dei medici, dei familiari e degli insegnanti, così come la possibilità di compiere diagnosi precoci e dunque attuare un’efficace presa in carico. Valutazione e diagnosi, nonché riabilitazione sono importanti nell’adulto e non solo nel bambino, sottolinea il medico relatore.
Nel convegno interessante è la storia di Virginia Costantino, biologa e studentessa nel corso di Comunicazione scientifica biomedica della Sapienza Università di Roma.
Realizzare per realizzarsi: così Virginia sintetizza il suo percorso di vita con la disprassia. Per lei la diagnosi è stata in un certo senso, una liberazione, la spiegazione razionale alle difficoltà incontrate negli affanni della vita dettati dal disturbo chiamato DCD. Da bambina racconta di aver sperimentato episodi di bullismo a scuola oltre che difficoltà nell’apprendimento.
Decide allora, ormai adulta, di chiedere una nuova valutazione in cui si palesa la diagnosi di disprassia: ha la possibilità di ritrovare se stessa potendo comprendere appieno le sue difficoltà ma a ciò non corrisponde un adeguato sostegno ambientale. La certificazione della diagnosi in ambito pubblico è stata difficoltosa, racconta Virginia, diagnosticata come disgrafica ai fini della carriera accademica dove non ha potuto però usufruire di sostegni adeguati.
Nelle ore di laboratorio i tecnici e i docenti la dispensarono da varie funzioni, con conseguente scoraggiamento personale. Le tutele approssimative vissute preoccupano ancora oggi Virginia, soprattutto immaginando il futuro mondo del lavoro, caratterizzato da crescente competitività.
Nonostante tutto ciò giunge alla laurea in biologia e a quasi 25 anni si è iscritta alla magistrale della Sapienza, con l’aiuto della docente Michaela Liuccio (Presidente del corso di Laurea magistrale in Comunicazione scientifica biomedica) e Michele Borrelli ha iniziato un progetto di divulgazione informativa sulla disprassia per creare nel futuro una comunità di disprassici informata e consapevole dei propri diritti.
PER APPROFONDIRE:
Associazione Disprassia e Famiglie AD&F
Radio Radicale per i diritti dei bambini e gli adulti di domani Ddl 904-video
Sito Dyspraxia Foundation in UK
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.