Pubblicato in: Sociologia della salute e della medicina

Le rappresentazioni mediali della disabilità.

Estratto della tesi di Laurea “Prospettive sociologiche nei disturbi dello spettro autistico”

Tesi Prima Classificata nel bando di concorso della Sapienza Università di Roma per dissertazioni sul tema della disabilità

La comunicazione della cultura contemporanea vede tra gli attori principali i mass-media, i quali sono strumenti di interazione e veicolo di trasmissione di messaggi che intervengono nella socializzazione primaria.

Televisione, film, radio e libri sono parte integrante della nostra esistenza, quasi a volerci ricordare continuamente uno degli assiomi della comunicazione di  Watzlawick[1] ovvero “Non si può non comunicare”.

Gli effetti di amplificazione di tali mezzi, in relazione ai fenomeni di inclusione o di limitazione nell’ambito della disabilità nella società, assumono un aspetto fondamentale nella percezione dei messaggi da parte dei fruitori.

Lontani da una logica di passiva ricezione del destinatario, oggi è noto come i significati e le rappresentazioni siano rielaborati attivamente e criticamente ricostruiti dal pubblico ricevente.

Questo discorso è vero nel caso di un pubblico critico, attento e competente. Lo sviluppo di tale spirito avviene lentamente nel corso della crescita; per un bambino, ma anche per un adolescente i messaggi mediali assumono un’altra portata, tanto da diventare incisivi e formativi nella costruzione della sua identità individuale e sociale, assieme ai contributi di scuola e famiglia.

Bisognerebbe dunque che l’industria culturale che si rivolge ai giovani fosse accuratamente tarata sul loro grado di sviluppo, al di là dei risvolti prettamente commerciali che caratterizzano l’esistenza nella società odierna.

La duplicità del ruolo di televisione, cinema, radio, stampa e in ultimo internet, è rappresentata proprio dalla versatilità del suo potenziale utilizzo; se da un lato i media hanno la capacità di poter sviluppare un discorso prettamente industriale, in una logica capitalistica di produzione e consumo e dar luogo alla iatrogenesi sociale e culturale, dall’altro possono svolgere un ruolo fondamentale nella divulgazione della scienza medica e rappresentare un importante mezzo di prevenzione primaria della salute in virtù della vasta audience cui si rivolgono(Di Santo,2013).

Le rappresentazione che oggi i mass media odierni forniscono della disabilità sono influenzate da quello che la letteratura ha prodotto nei tempi precedenti, soprattutto nell’ambito della televisione e della filmografia.

La letteratura classica per ragazzi fornisce lampanti esempi di ruoli assegnati alla disabilità che assumono significati metaforici di notevole importanza per la formazione di rappresentazioni mentali, attitudini e atteggiamenti nei suoi fruitori.

La letteratura classica per ragazzi è satura di figure disabili[2] e spesso l’impedimento fisico è associato simbolicamente a difficoltà interiori di natura psicologica. Questo accostamento di figure assolve anche un valore pedagogico e metaforico dell’adolescenza, periodo di crisi e ristrutturazioni interiori, mutamenti fisici e psicologici per eccellenza, nell’essere umano.

Nella letteratura inglese un esempio è rappresentato dal Capitano Achab nel romanzo Moby Dick di Herman Melville(1932); il marinaio reso senza una gamba dal morso di una balena ha l’ossessione di doversi vendicare su di essa e naviga i mari armato con la sua barca; condanna sé stesso e i marinai all’annichilimento della ragione e alla morte in nome della sua vendetta sull’animale.

Nella letteratura italiana tra i classici si trova il “Pinocchio” di Carlo Collodi(1881), in cui il dire bugie, dunque un comportamento non conforme e inappropriato secondo le regole della società, si traduce in un cambiamento del suo di naso di marionetta.

Gettando uno sguardo, invece, alla letteratura per adulti, emblematico è il romanzo “L’Amante di Lady Chatterley”( David Herbert Lawrence,1928)in cui  la protagonista Costance è sposata con un nobile paraplegico caratterizzato da limitazioni affettive e da atteggiamenti di distacco, tanto da spingere la giovane donna ad innamorarsi di un altro, non disabile, con cui riscopre la passione e il sentimento.

Ancor precedente, noto al grande pubblico, è il testo epico di Omero “l’Odissea” in cui Ulisse, l’eroe, acceca Polifemo il ciclope dall’occhio solo, che voleva divorare lui e i sui compagni. Ancora una volta il disabile è un nemico da abbattere.

In positivo, invece, risultano essere poche le figure presentate dalla letteratura; come Cyrano De Bergerac, nobile sfigurato nel suo volto, ma poeta e profondamente colto, caratterizzato da fragili e umani sentimenti ;o anche Quasimodo (Notre Dame de Paris, Victor Hugo,1831), uomo deforme e di straordinaria bruttezza, dotato però di una forza e di un’abilità fuori dal comune.

Si rintracciano dunque, nel susseguirsi del tempo, rappresentazioni stereotipate della disabilità in una duplice versione, da una parte il disabile è colui che è associato al diavolo, simbolicamente al male assoluto, da un’altra la sofferenza e la sfortuna in cui versa lo rendono moralmente un uomo migliore.

Secondo Thurn è l’etica morale giudaico cristiana, secondo la quale le mostruosità esteriori sono associate a difetti interiori dell’essere, interni al soggetto(Elliot,1982).

Questa tendenza doppia, capace di provocare repulsione così come fascinazione fanno della disabilità un ottimo soggetto per la spettacolarizzazione soprattutto nell’ambito cinematografico.

Da una parte alcuni ricercatori affermano che, il contatto con la disabilità (seppur mediato dagli artefatti culturali dell’uomo, quali i mezzi della comunicazione di massa) ci ricorda che siamo esseri mortali e instaura nella mente una percezione di pericolo, secondo cui scatta nell’Ego, un meccanismo di autodifesa(Elliot,1982).

I nostri comportamenti sociali sono fortemente influenzati attraverso la socializzazione dei mass-media, in particolare dalla televisione, strumento quotidiano e diffusissimo in larga scala nell’odierna società(Liebert,1975).

Sicuramente la potenza di condizionare le rappresentazioni pubbliche della disabilità ( nel cinema come nella televisione) sta nel poter mostrare la disabilità più che le abilità degli individui, continuando a creare barriere e perpetuando un’immagine stigmatizzante dei soggetti disabili.

Cosi’ anche nei giovani fruitori si instaura questo meccanismo vizioso che li porterà inevitabilmente alla costruzione dello stigma, quando e se, in relazioni con coetanei disabili.

[1] Psicologo statunitense della scuola di Palo Alto, filosofo e psicologo costruttivista della pragmatica della comunicazione umana e aderente all’approccio sistemico, lavorò per molto tempo presso il Mental Research Institute; egli teorizza come i concetti di anormalità e normalità, cosi come quelli di sanità e insanità siano costruiti e significanti a seconda del contesto in cui manifestano, ciò che può essere anormale in un luogo, può non esserlo in un altro.

[2] Uno studio americano sui fumetti riporta come nel 57% dei ritratti di personaggi disabili essi sono connotati da caratteristiche negative e solo nel 43% il personaggio con qualche forma di limitazione è un eroe (Elliot,1982).